Le novità del Codice della Crisi e dell’Insolvenza : A seguito dell’entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza d’Impresa (“CCII”), gli operatori del settore (imprenditori, banche, veicoli di cartolarizzazione, intermediari creditizi, consulenti e creditori in genere) si trovano a far fronte ad un quadro del tutto nuovo: i criteri di interpretazione e le prassi consolidate nel vigore della Legge Fallimentare dovranno essere riconsiderate e poste a confronto con le nuove norme.
Tra gli aspetti più innovativi della nuova normativa (che dà esecuzione in Italia alla c.d. direttiva insolvency), vanno segnalati: (i) l’introduzione di nuovi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (in alcuni casi, si tratta di “varianti” degli strumenti già previsti dalla Legge Fallimentare, mentre, in altri, si tratta di procedure interamente nuove); (ii) un approccio di favore per le operazioni finalizzate al recupero della continuità aziendale, rispetto a quelle volte alla pura liquidazione dell’impresa; (iii) il potenziamento degli incentivi a favore delle banche disposte ad erogare nuova finanza (con il riconoscimento della prededucibilità dei relativi crediti); e (iv) una disciplina specifica sulla risoluzione delle crisi dei gruppi di imprese.
Alcune di tali novità potrebbero avere un impatto significativo sull’attività dei cessionari di crediti UTP o NPL, specie per quanto attiene alla gestione e recovery delle posizioni creditizie acquisite: la moltiplicazione degli strumenti di rinegoziazione del debito, ad esempio, potrebbe spingere gli operatori finanziari a ridefinire le proprie strategie, standardizzando nuovi set up per la valutazione e la gestione del credito, in linea con le novità introdotte dal CCII.
Poste queste premesse, occorre esaminare i principali strumenti di gestione della crisi d’impresa, prendendo in esame, in particolare, le novità introdotte dal CCII.
Con la composizione negoziata della crisi, l’imprenditore intraprende una trattativa con i propri creditori, con l’obiettivo di rilanciare la continuità aziendale. A tal fine, il debitore richiede di essere affiancato da un esperto indipendente (nominato dalla Camera di Commercio competente), che ha la funzione di facilitare le trattative tra l’imprenditore in difficoltà e i creditori. In particolare, l’esperto può individuare e proporre alle parti soluzioni diverse, quali l’accordo con uno o più creditori, la stipula di una convenzione di moratoria, la redazione di un piano attestato di risanamento o di un accordo di ristrutturazione del debito, oppure il deposito di una domanda di concordato preventivo. Più in generale, l’esperto assiste l’imprenditore nel dialogo con i creditori e i terzi.
Può accedere allo strumento qualsiasi azienda che si trovi in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, che ne renda probabile la crisi o l’insolvenza, a condizione, però, che sia “ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”. Si tratta, dunque, di un’opzione adeguata a situazioni di crisi transitorie, non ancora sfociate nella cronica incapacità di far fronte alle obbligazioni sociali.
Per agevolare la fluidità della procedura, è stata istituita una piattaforma telematica nazionale, mediante la quale è possibile presentare l’istanza di nomina dell’esperto e consultare un elenco di indicazioni pratiche per la redazione del piano di rilancio del business e un “test” pratico per la verifica della sostenibilità dei progetti di ristrutturazione aziendale. In questo modo, è possibile valutare in anticipo (sia pur in modo approssimativo) la percorribilità dei progetti di risanamento aziendale, evitando il dispendio di energie, risorse e tempo in tentativi irrealistici o velleitari.
L’incarico all’esperto non può avere durata superiore a 180 giorni dall’accettazione della nomina: se, scaduto quel termine, le parti non hanno individuato una soluzione adeguata al superamento dello squilibrio, la procedura di composizione negoziata si interrompe; al contrario, la procedura può proseguire nel caso in cui tutte le parti lo richiedano e vi sia il consenso dell’esperto.
Nel corso della procedura, l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa e il diritto di effettuare pagamenti a favore di terzi. La gestione, tuttavia, deve essere condotta in modo tale da non compromettere la sostenibilità economica e finanziaria dell’impresa e “nell’interesse prevalente dei creditori”. Gli istituti finanziari, dal canto loro, sono tenuti a partecipare “attivamente” al processo di negoziazione.
Nel corso della procedura, possono essere richieste “misure protettive” a favore dell’impresa. In tal caso:
In sostanza, la composizione negoziata ha tutti i presupposti per poter agevolare e snellire le trattative tra l’imprenditore e i suoi creditori. Come noto, le discussioni spesso si interrompono (o entrano in una fase di stallo) a causa di difficoltà comunicative o di un disallineamento tra le aspettative delle parti: in questo senso, l’intervento dell’esperto (che agisce nella sua veste indipendente e neutrale) può dare un contributo importante.
Il concordato liquidatorio semplificato rappresenta una delle innovazioni più significative del CCII. Si tratta di una procedura a cui il debitore può ricorrere esclusivamente ad esito della composizione negoziata (v. paragrafo 1 di cui sopra), se dalle trattative non siano emerse soluzioni percorribili. Lo strumento in esame, infatti, può essere attivato nei 60 giorni successivi alla trasmissione della relazione (negativa) dell’esperto nominato nell’ambito della composizione negoziata. L’accesso allo strumento, dunque, è possibile solo se, tenuto conto del mancato accordo con i creditori, l’unica strada percorribile resta la liquidazione del patrimonio.
Come la denominazione suggerisce, il concordato semplificato può avere esclusivamente natura liquidatoria. Dal punto di vista procedurale, il concordato è soggetto ad omologa da parte del Tribunale, ma i creditori non godono del diritto di voto (fermo restando il loro diritto a proporre opposizione all’omologa).
Da questa descrizione sintetica, deriva che il concordato semplificato produce (fin dalla presentazione della domanda) gli stessi effetti del concordato “ordinario” (per cui cfr. il paragrafo 4), ma, a differenza di questo, non è soggetto al vaglio iniziale di ammissibilità da parte del Tribunale, al vincolo di garantire una quota di soddisfazione minima ai creditori chirografari (vincolo presente, invece, nel concordato preventivo di tipo liquidatorio), né deve sottostare al voto dei creditori. Tali (evidenti) vantaggi potranno rendere lo strumento particolarmente attrattivo per la gestione della crisi, specie laddove il debitore intenda usufruire della composizione negoziata a scopo “opportunistico”, avvalendosene solo per poter accedere al concordato liquidatorio semplificato (precludendo, così, ai creditori il voto ed imponendo, di fatto, un piano liquidatorio senza dover rispettare alcuna soglia minima di soddisfazione dei crediti).
Anche nel CCII, vengono riproposti l’accordo di ristrutturazione del debito e il piano di risanamento attestato (si tratta degli strumenti di gestione stragiudiziale della crisi più frequentemente utilizzati nella prassi degli ultimi anni). In entrambi i casi, si tratta di strumenti finalizzati ad agevolare il debitore nel raggiungimento di un accordo di ridefinizione del debito con i propri creditori, per il riequilibrio della situazione finanziaria o, se del caso, la liquidazione dell’impresa.
Il debitore è tenuto a procurarsi un’attestazione (rilasciata da un esperto indipendente) sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano industriale/finanziario. Nel caso degli accordi di ristrutturazione, occorre, poi, sottoporre l’accordo al Tribunale, ai fini dell’omologa; i creditori non aderenti all’accordo, inoltre, devono essere integralmente soddisfatti in denaro entro 120 giorni dalla data di scadenza dei rispettivi crediti (o dalla data dell’omologa, a seconda dei casi). In caso di successiva liquidazione giudiziale, gli atti e i pagamenti compiuti in esecuzione di un accordo di ristrutturazione (o di un piano attestato) sono esenti da revocatoria fallimentare e da alcune forme di responsabilità.
In realtà, entrambi gli strumenti erano già contemplati dalla Legge Fallimentare previgente: nel CCII, tuttavia, gli stessi vengono ulteriormente precisati, anche nelle loro possibili varianti. In particolare, il CCII prevede i c.d. accordi di ristrutturazione “agevolati” e gli accordi di ristrutturazione “ad efficacia estesa”:
Le norme sui piani attestati ricalcano, invece, in larga parte, quelle definite dalla Legge Fallimentare; viene precisato, però, che, anche nel contesto di un piano attestato di risanamento, il debitore può richiedere l’erogazione di nuova finanza (aspetto che era stato oggetto di contrasti interpretativi negli ultimi anni). Viene previsto, inoltre, che il debitore possa evitare di produrre l’attestazione indipendente sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano, nel caso in cui, precedentemente, sia stata avviata la composizione negoziata (cfr. paragrafo 1) e l’esperto abbia avallato le ipotesi di risanamento prefigurate dal debitore.
Il concordato preventivo (previsto dagli artt. 84-120 CCII) riflette in gran parte la disciplina previgente: le imprese in stato di crisi finanziaria o di insolvenza possono proporre un piano, che viene sottoposto ai creditori per l’approvazione (mediante il voto) e al Tribunale (per l’omologa). In caso di concessione delle “misure protettive”, non possono essere avviate o proseguite azioni esecutive (ad es., pignoramenti) o cautelari (ad es., sequestri) nei confronti del debitore, né istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale; i creditori, inoltre, non possono rifiutarsi di onorare i contratti in essere o risolverli, qualora tale decisione sia motivata solo da pregressi insoluti.
La gestione della società è affidata all’organo amministrativo della società, sotto la supervisione di un commissario giudiziale, mentre gli atti di amministrazione straordinaria richiedono la previa autorizzazione del Tribunale.
Analogamente a quanto già previsto nella Legge Fallimentare, la disciplina sul concordato preventivo subisce alcune variazioni, a seconda che il concordato sia in continuità aziendale (in questo caso il piano concordatario deve essere certificato da un esperto indipendente che valuta in che modo la continuità aziendale possa soddisfare al meglio gli interessi dei creditori) o abbia finalità liquidatorie (in questo caso, devono essere apportate risorse esterne che incrementino l’attivo disponibile di almeno il 10% e consentano di garantire la soddisfazione dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20%). Nel concordato con continuità aziendale, inoltre: (i) i proventi della liquidazione dell’attivo devono essere distribuiti ai creditori in base all’ordine dei privilegi previsto dalla legge, mentre (ii) l’eventuale surplus può essere assegnato con un maggior grado di flessibilità, soddisfacendo i crediti compresi in una classe con un trattamento almeno pari a quello delle classi di pari grado e più favorevole di quello delle classi di grado inferiore.
Le novità introdotte dal CCII impongono di fare il punto anche sulle procedure “di gruppo” (cioè sulle procedure di risanamento unitarie, anche se riferite a molteplici società, in quanto appartenenti ad un gruppo).
Negli scorsi anni, il tema ha vissuto un’evoluzione non sempre lineare: prima dell’entrata in vigore del CCII, alcune pronunce della giurisprudenza avevano imposto il deposito di distinti ricorsi di ammissione al concordato preventivo (da parte di ciascuna società del gruppo); si suggeriva di valutare i ricorsi con un’ottica unitaria (si ammetteva, ad esempio, la creazione di organi di procedura unitari per tutte le procedure in questione). Al di fuori di tali isolate pronunce, però, la giurisprudenza aveva mantenuto un approccio di chiusura (la Cassazione aveva, anzi, di fatto, bandito i concordati preventivi di gruppo).
Il tema delle procedure di gruppo era stato affrontato anche dal legislatore comunitario, con il Regolamento (UE) 848/2015, che aveva previsto, da un lato, sistemi di cooperazione e comunicazione e, dall’altro, meccanismi di coordinamento tra procedure riguardanti le imprese del gruppo.
Solo con il CCII, però, le crisi di gruppo vengono finalmente disciplinate in maniera specifica. Il CCII prevede, infatti, innovazioni significative in materia di gestione delle crisi finanziarie dei gruppi di imprese (artt. 284-292 CCII), con l’obiettivo di permettere una gestione unitaria delle difficoltà che riguardano tutte o alcune imprese appartenenti allo stesso gruppo. In particolare:
In conclusione, gli interventi normativi in commenti sembrano idonei a supportare strategie di workout basate sulle trattative negoziali tra debitore e creditori. Come detto, le novità apportate dal CCII potrebbero avere un impatto significativo sulla posizione dei cessionari di UTP ed NPL, considerato che gli operatori dovranno adattare le proprie strategie alla grande congerie di strumenti di regolazione della crisi, oltre che alle possibili “varianti”: ci riferiamo, ad esempio, alla possibile “virata” del debitore dalla composizione negoziata – cfr. paragrafo 1 – al concordato liquidatorio semplificato – cfr. paragrafo 2 – senza che i creditori possano realmente opporsi ad iniziative opportunistiche della loro controparte (si tratta di una delle tipiche situazioni in cui il creditore dovrà predisporre procedure standardizzate per identificare tempestivamente tentativi dilatori da parte del debitore ed agire di conseguenza, sfruttando ogni spazio di manovra permesso dalla procedura). D’altra parte, diversi aspetti applicativi richiederanno adeguate chiarimenti da parte dei Tribunali: è auspicabile che si crei da subito una prassi applicativa certa (a dispetto dei numerosi interrogativi che il CCII lascia, purtroppo, aperti).
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